LA CORTE DEI CONTI 
          (Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria) 
 
    Composta dai Magistrati: 
        dott. Luciano Coccoli: Presidente; 
        dott. Tommaso Salamone: consigliere; 
        dott. Pietro Maltese: consigliere relatore. 
    Ha  pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel   giudizio   di
responsabilita' iscritto al n.  19708  del  registro  di  segreteria,
promosso dalla Procura Regionale presso questa Sezione; 
    Contro: 
        V. S., non costituito; 
        N. M., non costituito; 
        B. L., non costituito; 
        C. A., non costituito. 
    Esaminati gli atti e i documenti di causa; 
    Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del  27  gennaio
2016 dal Consigliere Pietro Maltese; 
    Udito il pubblico  ministero  in  persona  del  vice  Procuratore
generale dott. Gabriele Vinciguerra; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    In occasione del  vertice  dei  capi  di  Stato,  denominato  G8,
tenutosi a Genova nel luglio del 2001, gli agenti C., B.,  N.  e  V.,
tutti appartenenti alla Polizia di Stato, in concorso tra loro e  con
piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in violazione
delle norme disciplinanti la  facolta'  di  arresto  da  parte  degli
ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, nonche'  dei  doveri  del
personale  della  Polizia,  privavano  della  liberta'  personale   i
cittadini spagnoli A. S. G. e L. A. L. G.  intenzionalmente  operando
un arresto al di fuori dei presupposti di legge e abusando dei poteri
inerenti le loro funzioni. Gli stessi agenti, inoltre, incolpavano  i
menzionati cittadini spagnoli, pur sapendoli innocenti, dei reati  di
resistenza aggravata e  possesso  ed  utilizzo  di  armi,  affermando
falsamente nel verbale di arresto e  nelle  successive  relazioni  di
servizio che A. S. G. veniva sorpreso mentre effettuava all'indirizzo
dei  reparti  schierati  della  Polizia  il  lancio  di  un   ordigno
incendiario e che L. A.  L.  G.  si  scagliava  contro  le  forze  di
Polizia, armato di un tubolare di ferro, effettuando anche resistenza
per sottrarsi all'arresto. La Corte d'appello di Genova con  sentenza
del 13 luglio 2010, in totale riforma della sentenza di  primo  grado
riteneva colpevoli del reato  continuato  di  falsita'  ideologica  i
convenuti, condannandoli alla pena  di  quattro  anni  di  reclusione
ciascuno, oltre all'interdizione dai pubblici uffici per anni cinque,
al risarcimento dei danni in favore delle parti civili da  liquidarsi
in separato  giudizio,  al  versamento  di  una  provvisionale  di  €
15.000,00 per ciascuna parte  civile,  e  al  pagamento  delle  spese
processuali. Gli altri reati  di  cui  gli  imputati  erano  accusati
(calunnia ed  abuso  di  ufficio)  venivano  dichiarati  estinti  per
prescrizione.  A  seguito  del  rigetto  del  ricorso  in  Cassazione
proposto dai  convenuti,  la  sentenza  di  condanna  e'  passata  in
giudicato. 
    Per i fatti in questione i convenuti sono  stati  chiamati  dalla
Procura contabile  a  rispondere  del  danno  patrimoniale  indiretto
subito dal Ministero della giustizia, causalmente ricollegabile  alla
loro condotta illecita, per il pagamento di € 10.584,00 a  titolo  di
spese di costituzione in  giudizio  delle  parti  civili  ammesse  al
patrocinio a spese dello Stato nei processi di primo e secondo  grado
relativi  ai  fatti  in  questione,  nonche'   dell'ulteriore   danno
patrimoniale subito dal Ministero dell'interno per  avere  anticipato
la somma di € 10.000,00 per le spese legali degli imputati, somma non
restituita a seguito della condanna. 
    La  Procura  contabile,  atteso  il  notevole  clamore  suscitato
dall'intera vicenda la cui notizia e' stata  ampiamente  riportata  e
diffusa sugli organi di stampa e sugli altri mezzi  di  informazione,
ha inoltre chiesto  il  risarcimento  del  danno  all'immagine  della
Polizia di Stato, gravemente lesa dal  comportamento  delittuoso  dei
condannati, danno quantificato in € 200.000,00. 
    Essendo la relativa azione preclusa dall'ari. 17,  comma  30-ter,
del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78, convertito con  modificazioni
nella legge 3 agosto 2009 n. 102,  modificato  dall'art.  1  comma  1
lettera c) n. 1 del decreto-legge 3 agosto  2009  n.  103  convertito
dalla legge 3 ottobre  2009  n.  141,  che  per  effetto  del  rinvio
contenuto nella predetta norma all'art. 7 della legge 27  marzo  2001
n. 97, legittima la proposizione dell'azione risarcitoria  per  danni
all'immagine dell'ente  pubblico  da  parte  della  procura  operante
presso il giudice contabile soltanto se detto danno e' conseguente  a
un  reato  ascrivibile  alla  categoria  dei  delitti  dei   pubblici
ufficiali contro la pubblica amministrazione, la Procura contabile ha
proposto questione di legittimita' costituzionale della norma de qua,
per  contrasto  della  stessa  con  gli  articoli  3   e   97   della
Costituzione. 
    Il  contrasto  con  l'art.   3   Cost.   viene   denunciato   per
«l'intrinseca   irragionevolezza»   della   disciplina    regolatrice
dell'azione  risarcitoria  per  danno  all'immagine,   ritenuta   non
conforme a valori di giustizia ed equita' ed a  criteri  di  coerenza
logica, nonche' per violazione del principio di uguaglianza, anche  a
seguito delle nuove  figure  di  danno  all'immagine  introdotte  dal
legislatore successivamente alla norma  censurata,  di  cui  all'art.
55-quinquies, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001  n.  165
(aggiunto dall'ari. 69, comma 1, del decreto legislativo  27  ottobre
2009, n. 150), all'art. 1, comma 12, della legge 6 novembre 2012,  n.
190 e all'art. 46, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n.
33. 
    Secondo la disciplina normativa in vigore,  verrebbero,  infatti,
escluse dall'azione risarcitoria  per  danno  all'immagine  fatti  di
reato altrettanto gravi e anche piu' gravi di  quelli  che  integrano
gli estremi dei reati contro la P.A. e  soprattutto  certamente  piu'
gravi dei fatti non costituenti reato descritti dalle nuove figure di
violazioni di doveri del pubblico dipendente,  si  e'  innanzi  fatto
cenno, creando sperequazioni manifestamente irragionevoli  tra  fatti
che producono i medesimi  effetti  dannosi  e  dando  luogo  anche  a
situazioni paradossali. 
    A   titolo   esemplificativo,   si    evidenzia    che    risulta
inspiegabilmente escluso il risarcimento del danno all'immagine della
pubblica   amministrazione   nelle   ipotesi    di    reati    contro
l'amministrazione della giustizia, non  compresi  capo  I,  libro  II
titolo  II  del  codice  penale,  che  sussiste  danno   all'immagine
risarcibile per la violazione del segreto d'ufficio (326 c.p.) ma non
per la rivelazione  di  segreto  di  Stato  (261  c.p.)  commessa  da
pubblico ufficiale, che sussiste danno  all'immagine  per  l'indebita
percezione di erogazioni a danno dello Stato di cui all'art.  316-ter
del c.p. ma non per la truffa aggravata per  il  conseguimento  delle
medesime erogazioni pubbliche di  cui  all'art.  640-bis  del  codice
penale e cioe' per lo stesso fatto di reato commesso con  artifici  e
raggiri, che e' ammesso il risarcimento dei  danno  all'immagine  nel
caso di abuso d'uffici di cui all'art. 323 codice penale ma  non  nei
casi in cui detto reato viene assorbito in  uno  piu'  grave  ma  non
compreso nel capo I, libro II titolo II del codice penale, nonostante
permanga la lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice  del
reato assorbito (il buon andamento della P.A.), che risponde di danno
all'immagine la guardia carceraria che in cambio di  favori  sessuali
dispensa  benefici  in  violazione  dei  propri  doveri  a   soggetti
sottoposti a custodia, mentre non ne risponde  se  commette  violenza
sessuale a danno degli stessi soggetti cui poi  dispensa  i  medesimi
benefici per evitare di essere denunciata. 
    Le contraddizioni  e  le  incongruenze  che  la  norma  censurata
produce sono, secondo  la  procura,  tali  e  tante  da  rendere  non
manifestamente infondato il dubbio sulla legittimita'  costituzionale
dell'art. 17, comma 30-ter del decreto-legge n. 78/2009 citato, nella
parte  in  cui  non  consente  l'azione  di  risarcimento  del  danno
all'immagine conseguente a reati, commessi  da  pubblici  dipendenti,
diversi da quelli contro la pubblica  amministrazione  per  contrasto
con l'art. 3 Cost. sotto il profilo della intrinseca irragionevolezza
della norma e della violazione  dei  principi  di  uguaglianza  e  di
conformita' dell'ordinamento a valori  di  giustizia  e  di  equita',
senza  che  vi  sia  una  apprezzabile   contropartita,   sul   piano
dell'effettivita', nell'incremento di tutela  di  altri  interessi  o
valori costituzionali. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17 comma
30-ter del  decreto-legge  l°  luglio  2009  n.  78,  convertito  con
modificazioni nella legge 3 agosto 2009 n. 102, modificato  dall'art.
1 comma 1 lettera c) n. 1 del decreto-legge  3  agosto  2009  n.  103
convertito dalla legge 3 ottobre 2009 n. 141, sollevata dalla Procura
contabile appare rilevante e non manifestamente infondata. 
    1.1 La norma censurata dispone che «Le procure  della  Corte  dei
conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno  all'immagine
nei soli casi e nei modi previsti dalli art. 7 della legge  27  marzo
2001  n.  97.  A  tale  ultimo  fine,  il  decorso  del  termine   di
prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1  della  legge  14  gennaio
1994, n. 20,  e'  sospeso  fino  alla  conclusione  del  procedimento
penale. Qualunque atto istruttorio o processuale posto in  essere  in
violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia
stata gia' pronunciata sentenza anche non  definitiva  alla  data  di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e'
nullo e la  relativa  nullita'  puo'  essere  fatta  valere  in  ogni
momento, da chiunque vi  abbia  interesse,  innanzi  alla  competente
sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine
perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta.» 
    A sua volta, richiamato  art.  7  legge  27  marzo  2001  n.  97,
intitolato «Responsabilita' per danno  erariale»,  dispone  che:  «La
sentenza irrevocabile  di  condanna  pronunciata  nei  confronti  dei
dipendenti indicati nell'art. 3 per  i  delitti  contro  la  pubblica
amministrazione previsti nel capo I del titolo II del  libro  secondo
del codice penale e' comunicata al competente  procuratore  regionale
della  Corte  dei  conti  affinche'  promuova  entro  trenta   giorni
l'eventuale procedimento di responsabilita' per  danno  erariale  nei
confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto  dall'art.  129
delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del  codice
di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989
n. 271». 
    2. Secondo il diritto  vivente,  ricavabile  dall'interpretazione
della norma in questione ad  opera  della  prevalente  giurisprudenza
della Corte di cassazione (sentenza n. 14605 del 2014) e della  Corte
dei conti (SS.RR sentenza n. 8/QM del 2015), il riferimento «ai  casi
e ai modi» previsti nell'art. 7 della citata legge n.  97  del  2001,
comporta la possibilita' della procura contabile di esperire l'azione
di risarcimento solo nel caso di danno  all'immagine  conseguente  ad
uno de reati di cui al capo I, titolo II, libro II de codice  penale,
vale  a  dire  nelle  ipotesi   di   delitti   contro   la   pubblica
amministrazione, tra i quali non e' compreso  il  reato  di  falsita'
ideologica per il quale i convenuti sono stati condannati. 
    La stessa Corte costituzionale, nel dichiarare inammissibili  e/o
infondate le questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  17,
comma 30-ter prospettate da varie Sezioni giurisdizionali della Corte
dei conti, ha ritenuto (sentenza n. 355 del 2010 e ordinanze nn. 219,
220 e 221 del 2011) che «il legislatore ha  ammesso  la  proposizione
dell'azione risarcitoria per danni all'immagine dell'ente pubblico da
parte della procura operante presso il giudice contabile soltanto  in
presenza di un fatto di reato ascrivibile alla categoria dei «delitti
dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione» e che  «La
norma deve essere univocamente interpretata, [...] nel senso  che  al
di fuori delle ipotesi tassativamente previste di responsabilita' per
danni  all'immagine  dell'ente  pubblico  di  appartenenza,  non   e'
configurabile siffatto tipo di tutela risarcito» (sentenza n. 355 del
2010). 
    3. Escluse, pertanto, interpretazioni dell'art. 17, comma  30-ter
che possano far ritenere esperibile l'azione della Procura  contabile
anche nei casi di danni all'immagine dell'amministrazione conseguenti
a  reati  diversi  da  quelli  contemplati  dalla  norma  stessa,  la
questione proposta e' da ritenersi rilevante nel  presente  giudizio,
in quanto l'applicazione della disposizione censurata  determinerebbe
l'improponibilita'  della   domanda   di   risarcimento   del   danno
all'immagine, precludendone l'esame. 
    4. remittente ritiene che la questione  sollevata  dalla  Procura
attrice, oltre che rilevante, sia anche non manifestamente infondata. 
    Il Collegio non ignora che la Corte  ha  gia'  scrutinato,  sotto
diversi profili, la questione di  legittimita'  relativa  alla  norma
censurata.  Ritiene,  tuttavia,  che  alla  luce  dei  principi   che
presiedono alla verifica della ragionevolezza  degli  interventi  del
legislatore, elaborati dalla stessa giurisprudenza costituzionale, il
denunciato contrasto della norma censurata con gli articoli  3  e  97
della Costituzione non sia manifestamente infondato, con  riferimento
agli ulteriori profili, di seguito illustrati. 
    5. Come e' noto, la  giurisprudenza  costituzionale  ha  «desunto
dall'art. 3 Cost. un canone di «razionalita'» della legge  svincolato
da  una  normativa  di  raffronto,  rintracciato   nell'esigenza   di
conformita' dell'ordinamento a valori di giustizia e di  giustizia  e
di equita' [...] ed a  criteri  di  coerenza  logica,  teleologica  e
storico-cronologica, che costituisce un presidio  contro  l'eventuale
manifesta irrazionalita' o iniquita' delle conseguenze della  stessa»
(sent. n. 87/2012) 
    Alla luce del suddetto canone di razionalita',  utilizzato  dalla
Corte per l'esercizio del  sindacato  di  legittimita',  il  Collegio
remittente, ritiene, non manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita'  costituzionale   dell'art.   17,   comma   30-ter   del
decreto-legge 1° luglio 2009 n.  78,  sollevata  dalla  Procura,  per
contrasto con l'art. 3 della Costituzione,  sotto  il  profilo  della
«intrinseca irragionevolezza» della disciplina dalla stessa  dettata,
a seguito delle successive disposizioni all'art. 55-quinquies,  comma
2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165  (aggiunto  dall'art.
69, comma 1, del  decreto  legislativo  27  ottobre  2009,  n.  150),
all'art. 1, comma 12, della legge 6 novembre 2012, n. 190 e  all'art.
46, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. 
    5.1 La scelta, operata con  la  disposizione  censurata,  di  non
estendere l'azione risarcitoria anche in  presenza  di  condotte  non
costituenti reato, ovvero costituenti  un  reato  diverso  da  quelli
contro la pubblica amministrazione ritenuta legittima dalla Corte con
la sentenza n. 355 del  2010,  e',  infatti,  smentita  dallo  stesso
legislatore che in momenti all'entrata in vigore dell'art.  17  comma
30-ter  del  decreto-legge  n.  78/2009,  ha   introdotto   ulteriori
fattispecie  di   danno   all'immagine   dell'amministrazione,   come
conseguenza di reati non compresi tra quelli disciplinati dal capo  I
titolo II libro II del  codice  penale  e  anche  di  fatti  che  non
costituiscono reato, con conseguente irrazionalita' della  disciplina
dettata dal predetto art. 17, comma 30-ter. 
    5.2 La prima nuova fattispecie di danno all'immagine e'  prevista
dall'art. 55-quinquies, comma 2, del  decreto  legislativo  30  marzo
2001 n. 165 (aggiunto dall'art. 69, comma 1, del decreto  legislativo
27 ottobre 2009, n. 150), secondo cui risponde di danno  all'immagine
alla pubblica amministrazione il lavoratore  dipendente  che  attesta
falsamente la propria presenza in  servizio,  mediante  l'alterazione
dei sistemi di rilevamento  della  presenza  o  con  altre  modalita'
fraudolente, ovvero giustifica l'assenza dal  servizio  mediante  una
certificazione falsa o falsamente attestante uno stato di malattia. 
    Successivamente, con l'art. 1, comma 12, della legge  6  novembre
2012,  n.  190  e'  stato  previsto  che  «In  caso  di  commissione,
all'interno dell'amministrazione, di un reato di corruzione accertato
con sentenza passata in giudicato,  il  responsabile  individuato  ai
sensi del comma 7 del presente articolo risponde ai  sensi  dell'art.
21 del decreto legislativo  30  marzo  2001,  n.  165,  e  successive
modificazioni, nonche' sul piano disciplinare, oltre che per il danno
erariale e all'immagine della  pubblica  amministrazione,  salvo  che
provi tutte le seguenti circostanze: a) di avere  predisposto,  prima
della commissione del fatto, il piano di cui al comma  5  e  di  aver
osservato le prescrizioni di  cui  ai  commi  9  e  10  del  presente
articolo; b) di aver vigilato sul funzionamento e sull'osservanza del
plano.» 
    Infine, con l'art. 46, comma 1, del decreto legislativo 14  marzo
2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante  gli  obblighi  di
pubblicita', trasparenza e diffusione di informazioni da parte  delle
pubbliche  amministrazioni)  e'  stata   introdotta   una   ulteriore
fattispecie  di  danno  all'immagine  risarcibile,  prevedendosi  che
«L'inadempimento  degli  obblighi  di  pubblicazione  previsti  dalla
normativa  vigente  o  la  mancata  predisposizione   del   Programma
triennale per la trasparenza e l'integrita' costituiscono elemento di
valutazione della responsabilita' dirigenziale,  eventuale  causa  di
responsabilita' per danno all'immagine  dell'amministrazione  e  sono
comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione  di
risultato e del trattamento  accessorio  collegato  alla  performance
individuale dei responsabili.» 
    5.3 La prima delle tre  fattispecie  evidenziate,  gia'  inserita
nell'ordinamento al tempo  in  cui  la  Corte  costituzionale  si  e'
pronunciata sulla  questione  relativa  all'art.  17,  comma  30-ter,
(sentenza n. 355 del 2010), e' stata ritenuta elemento  insufficiente
ad intaccare  il  criterio  limitativo  del  risarcimento  del  danno
all'immagine  ai  soli  casi   dei   delitti   contro   la   pubblica
amministrazione, attesa la sua «specialita'» e «la ratio  che  ne  ha
giustificato l'introduzione nel sistema» (sentenza n. 355 del 2010). 
    La successiva previsione legislativa delle altre due  ipotesi  di
danno  all'immagine   risarcibile,   relative   a   fatti   che   non
costituiscono reato, non essendo piu' giustificabile con il  criterio
di specialita', ha, pero', incrinato la coerenza interna della scelta
del  legislatore  tradotta  nell'art.  17,  comma  30-ter,   rendendo
irragionevole  e,   quindi,   costituzionalmente   illegittima,   per
violazione dell'art. 3 della Costituzione,  sotto  il  profilo  della
intrinseca irrazionalita' della  disciplina  e  della  disparita'  di
trattamento risultante, l'esclusione dell'azione  risarcitoria  nelle
ipotesi di danno all'immagine  causato  dalla  commissione  di  reati
diversi da quelli espressamente contemplati  dal  predetto  art.  17,
comma  30-ter.  L'azione  risarcitoria  per  il  danno   all'immagine
dell'amministrazione risulta, infatti, prevista per fatti dannosi  di
minore gravita', (tenuto conto del  tipo  di  sanzione  prevista  dal
legislatore in caso di violazione) quali  quelli  relativi  alle  due
ultime fattispecie citate, che non costituiscono neppure reato  (art.
1, comma 12, della legge 6 novembre 2012, n. 190 e art. 46, comma  1,
del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33), mentre risulta esclusa
per danni  all'immagine  causati  dai  piu'  gravi  fatti  di  reato,
produttivi della stessa tipologia di danno. 
    Se a quanto esposto si aggiungono le diversita'  di  trattamento,
ingiustificate sul piano giuridico, che la norma censurata determina,
in premessa indicate a titolo esemplificativo, non puo' non dubitarsi
della legittimita' costituzionale della disposizione  censurata,  per
violazione del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. che
impone parita' di trattamento di situazioni analoghe e per violazione
del canone di ragionevolezza intrinseca, desunto dallo stesso art. 3,
che esige conformita' dell'ordinamento a valori  di  giustizia  e  di
equita' dallo stesso  tutelati  ed  a  criteri  di  coerenza  logica,
teleologica e storico-cronologica,  e  che  costituisce  un  presidio
contro  l'eventuale  manifesta  irrazionalita'  o   iniquita'   delle
conseguenze della norma (sentenze n. 46 del 1993 e n. 81  del  1992),
principio  che  risulta  violato  nel  momento  in  cui   la   tutela
dell'immagine dell'amministrazione non viene  accordata  o  negata  a
seconda della sussistenza o meno del danno, ma sulla base  del  fatto
generatore dello stesso,  la  cui  individuazione  risulta  di  fatto
affidata all'arbitrium merum del legislatore. 6. 
    6. Il predetto  art.  17,  comma  30-ter,  del  decreto-legge  n.
78/2009  appare,  inoltre,  contrastante  con  l'art.  3  Cost.   per
violazione dello stesso  canone  della  «intrinseca  ragionevolezza»,
sotto un ulteriore profilo, nonche' con l'art. 97 Cost. 
    6.1 Il Giudice  delle  leggi,  pur  riconoscendo  l'esistenza  di
diritti  «propri»  degli  enti   pubblici   e   conseguentemente   la
possibilita'  di  forme  peculiari  di  risarcimento  del  danno  non
patrimoniale nel caso in cui i suddetti diritti vengano  violati,  ha
identificato  il  danno   derivante   dalla   lesione   del   diritto
all'immagine della p.a. nel pregiudizio recato alla  rappresentazione
che essa ha di se' in conformita' al modello delineato  dall'art.  97
Cost.,  individuando,  pertanto,  sostanzialmente  in  questa   norma
costituzionale  il  fondamento  della  rilevanza  di   tale   diritto
(sentenza n. 355 del 2010). 
    La Corte ha anche precisato che il riconoscimento  dell'esistenza
di  diritti  «propri»  degli  enti  pubblici  tra  cui   il   diritto
all'immagine «deve necessariamente tenere  conto  della  peculiarita'
del soggetto tutelato e della conseguente diversita' dell'oggetto  di
tutela,  rappresentato  dall'esigenza  di  assicurare  prestigio,  la
credibilita' e il corretto funzionamento degli uffici della  pubblica
amministrazione (sentenza n.  172  del  2005),  ritenendo  in  questa
prospettiva,    non    manifestamente    irragionevole    «ipotizzare
differenziazioni  di  tutele,  che  si  possono  attuare  a   livello
legislativo,  anche  mediante  forme  di   protezione   dell'immagine
dell'amministrazione pubblica a fronte di  condotte  del  dipendenti,
specificamente tipizzate, meno pregnanti rispetto a quelle assicurate
alla persona fisica.» (sentenza n. 355 del 2010). 
    Anche  in   ambiti   connotati   da   un'ampia   discrezionalita'
legislativa,  lo  scrutinio  di  ragionevolezza  impone   pero'   «di
verificare che il bilanciamento  degli  interessi  costituzionalmente
rilevanti non sia stato realizzato con modalita' tali da  determinare
il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva  e
pertanto incompatibile con il dettato costituzionale.  Tale  giudizio
deve    svolgersi    «attraverso    ponderazioni    relative     alla
proporzionalita'  dei  mezzi  prescelti  dal  legislatore  nella  sua
insindacabile discrezionalita' rispetto alle  esigenze  obiettive  da
soddisfare  o  alle  finalita'   che   intende   perseguire»   (Corte
costituzionale sentenza n. 1130 del 1988) ed ha lo scopo di «valutare
se la norma oggetto di scrutinio, con la misura  e  le  modalita'  di
applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al  conseguimento  di
obiettivi  legittimamente  perseguiti,  in  quanto  tra  piu'  misure
appropriate,  prescriva  quella  meno  restrittiva  dei   diritti   a
confronto  e  stabilisca  oneri  non   sproporzionati   rispetto   al
perseguimento di detti obiettivi (sent. n. 1 del 2014). 
    Detto sindacato «di giustizia» o di «intrinseca irragionevolezza»
della legge prescinde, come e' noto, dal carattere ternario  e  dalla
comparazione tra norme, per assumere la  forma  del  controllo  della
adeguatezza della legge rispetto al caso regolato. Significativa  e',
al  riguardo,  la  sentenza  185   del   2003,   che   ha   giudicato
«irragionevole» la  compressione  di  un  diritto  (si  trattava  del
diritto di  proprieta')  in  nome  di  un  valore  costituzionalmente
tutelato  (la  tutela  dei  beni  culturali),  in  quanto  la  misura
limitativa e' stata ritenuta eccessiva ed  esuberante  rispetto  alla
finalita' perseguita, che gia' poteva ritenersi soddisfatta da  altre
previsioni contenute nell'ordinamento. 
    6.2 Alla  luce  dei  predetti  canoni,  il  Collegio  remittente,
ritiene, non manifestamente infondata la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter del decreto-legge 1° luglio
2009 n. 78, per contrasto con l'art. 3 della  Costituzione  sotto  il
profilo della «intrinseca irragionevolezza» della norma, e con l'art.
97, sotto il profilo della violazione del diritto all'immagine  della
pubblica  amministrazione  che  nella   citata   disposizione   trova
ancoraggio di rilievo costituzionale per i seguenti motivi. 
    6.3 La ratio della  disposizione  censurata  risulta  esattamente
individuata dalla  Corte  costituzionale  nell'intento  di  «limitare
ulteriormente  l'area  della  gravita'  della  colpa  del  dipendente
incorso in responsabilita', proprio all'evidente scopo di  consentire
un esercizio dell'attivita' di amministrazione della  cosa  pubblica,
oltre che piu' efficace  ed  efficiente,  piu'  possibile  scevro  da
appesantimenti, ritenuti dal legislatore eccessivamente onerosi,  per
chi e' chiamato, appunto, a porla in essere.» (Corte  cost.  sentenza
n.  355  del  2010).  La  norma,  infatti,   intende   «circoscrivere
oggettivamente i casi in cui e' possibile, sul  piano  sostanziale  e
processuale, chiedere il risarcimento del  danno  in  presenza  della
lesione dell'immagine dell'amministrazione imputabile a un dipendente
di  questa»,   «sulla   base   della   considerazione   secondo   cui
l'ampliamento dei casi di responsabilita' di tali  soggetti,  se  non
ragionevolmente limitata  in  senso  oggettivo,  e'  suscettibile  di
determinare   un   rallentamento   nell'efficacia   e   tempestivita'
dell'azione amministrativa dei pubblici  poteri,  per  effetto  dello
stato diffuso di preoccupazione che potrebbe ingenerare in coloro  ai
quali,  in  definitiva,  e'  demandato   l'esercizio   dell'attivita'
amministrativa.» (Corte cast. sentenza n. 355 del 2010). 
    6.4 Essendo questi indubitabilmente gli obiettivi dell'intervento
normativo oggetto della questione  di  legittimita',  il  profilo  di
censura che viene in rilievo  con  riferimento  alla  «ragionevolezza
intrinseca»  della  disposizione,  attiene   alla   idoneita',   alla
proporzionalita' ed alla necessita' del mezzo scelto per l'attuazione
dell'intento legislativo, sproporzionato ed eccessivo  rispetto  allo
scopo, ma anche non necessario  e  inidoneo  al  conseguimento  degli
obiettivi legittimamente perseguiti. 
    6.5 Se la  finalita'  perseguita  e'  quella  di  «consentire  un
esercizio dell'attivita'  di  amministrazione  della  cosa  pubblica,
oltre che piu' efficace ed efficiente, il piu'  possibile  scevro  da
appesantimenti»   al   fine    di    valutare    la    ragionevolezza
dell'intervento,  non  puo'  non  tenersi  conto  del  fatto  che  il
legislatore, allo scopo di limitare la responsabilita'  dei  pubblici
dipendenti,  e  gia'  piu'  volte  intervenuto,   con   provvedimenti
normativi riconosciuti legittimi dalla  stessa  Corte  costituzionale
(sentenza n. 371 del 1998; sentenza n. 453 del 1998),  finalizzati  a
restringere la sfera di detta responsabilita', (legge 14 gennaio 1994
n.  20;  decreto-legge  23  ottobre  1996  n.  543),   limitando   il
risarcimento alle sole condotte dannose connotate  da  dolo  o  colpa
grave e la trasmissibilita' del debito agli eredi solo  nel  caso  di
illecito arricchimento del dante  causa  e  di  conseguente  illecito
arricchimento degli eredi stessi, prevedendo l'insindacabilita' delle
scelte  discrezionali  e  l'obbligo  di  tenere  conto  dei  vantaggi
comunque   conseguiti   dall'amministrazione   o   dalla    comunita'
amministrata,  fissando  la  regola   generale   della   parziarieta'
dell'obbligazione di risarcimento, limitando al  quinquennio  termine
prescrizionale (art. 1 commi 1 - 4 della legge 14 gennaio 1994 n. 20)
e sancendo  l'obbligo  di  rimborsare  in  ogni  caso  al  dipendente
prosciolto nel processo per danno erariale le spese legali  sostenute
(art. 3, comma 2-bis del decreto-legge n. 543/1996, art. 18, comma  1
del  decreto-legge  n.  67/1997  e  art.   10-bis,   comma   10   del
decreto-legge n. 203/2005). Risultando la  finalita'  perseguita  dal
legislatore  gia'  abbondantemente  soddisfatta  da  strumenti   piu'
consoni e sicuramente piu' efficaci, quali quelli appena indicati, la
scelta di restringere ulteriormente confini della responsabilita' per
i  danni  causati  alla   pubblica   amministrazione   limitando   il
risarcimento dei danni all'immagine solo nelle  ipotesi  in  cui  gli
stessi  siano  conseguenti  ad  uno  dei  reati  contro  la  Pubblica
Amministrazione, e restringendo, quindi, di converso, i confini della
tutela del diritto dell'amministrazione all'onore e alla  reputazione
appare  misura  eccessiva  ed  esuberante  rispetto  allo  scopo   e,
pertanto,  secondo   il   parametro   costituzionale   dell'art.   3,
intrinsecamente irrazionale. 
    6.6  La  misura  non  appare,  tra  l'altro,  neppure  idonea  al
raggiungimento degli obiettivi che il  legislatore  si  proponeva  di
raggiungere con la disciplina in esame. Pur tenendo conto  che  nella
materia  de  qua   il   legislatore   dispone   di   un   ambito   di
discrezionalita' abbastanza ampio e', infatti, pur sempre  necessario
che i mezzi scelti per il raggiungimento dei fini proposti abbiano  i
requisiti della razionalita' e della idoneita' allo  scopo  requisiti
parimenti oggetto di sindacato da parte del Giudice delle leggi. 
    Eliminare l'obbligo del pubblico dipendente di risarcire il danno
all'immagine dell'amministrazione causato, come nel caso  di  specie,
da agenti appartenenti alla Polizia di Stato condannati con  sentenza
passata in giudicato per avere; nell'esercizio delle loro funzioni di
ordine  pubblico,  arrestato  illegalmente   persone   che   sapevano
innocenti, accusandoli falsamente in atti ufficiali  da  loro  stessi
redatti della commissione di gravi delitti, non sembra misura  idonea
ad agevolare il  raggiungimento  dell'obiettivo  del  buon  andamento
dell'amministrazione  o  strumento   in   qualche   modo   funzionale
all'attuazione  dei  principi  di  legalita',  di  imparzialita',  di
economicita' e di trasparenza che costituiscono il  modello  fondante
dell'azione amministrativa previsto dall'art. 97 Cost. 
    Appare,  anzi,  ragionevole  ritenere  che  l'obiettivo  di   una
amministrazione   efficiente   ed   imparziale    avrebbe    maggiori
probabilita' di essere  raggiunto  ampliando,  a  scopo  quanto  meno
dissuasivo,   e   non   certamente   restringendo,   la   sfera    di
responsabilita' del pubblico dipendente che approfitta delle funzioni
svolte per delinquere (e, in tal senso, del resto, sembra muoversi lo
stesso  legislatore,  come  si   evince   dalle   scelte   successive
all'emanazione della norma censurata,  ampliative  delle  ipotesi  di
danno all'immagine della P.A). 
    Ne consegue  che  l'eccessivo  e  sproporzionato  sacrificio  del
diritto all'onore ed alla reputazione della pubblica  amministrazione
imposto  dalla  disposizione  normativa   censurata,   non   trovando
giustificazione nella necessita'  di  un  bilanciamento  al  fine  di
tutelare   un   altro   diritto   costituzionalmente    protetto    e
potenzialmente   con    esso    confliggente,    e'    da    ritenere
costituzionalmente illegittimo. 
    Non e', pertanto, manifestamente infondato il  dubbio  che  l'art
17, comma 30-ter del decreto-legge 1° luglio 2009 n.  78,  convertito
con modificazioni nella legge 3 agosto 2009  n.  102,  e  s.m.  nella
parte  in  cui  prevede  il  trattamento  differenziato   dei   danni
all'immagine derivanti da reati diversi da quelli contro la  pubblica
amministrazione sia in contrasto  con  gli  articoli  3  e  97  della
Costituzione,  per  «intrinseca  irragionevolezza»  anche  sotto  gli
anzidetti ulteriori profili. 
    7. Per le ragioni che precedono,  in  applicazione  dell'art.  23
della legge costituzionale n. 87/1953 riservata ogni altra  decisione
all'esito del giudizio innanzi alla Corte costituzionale, la  Sezione
ritiene rilevante e non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita'  costituzionale   dell'art.   17,   comma   30-ter   del
decreto-legge 1° luglio 2009  n.  78,  convertito  con  modificazioni
nella legge 3 agosto 2009 n. 102, con riferimento agli articoli  3  e
97 Cost. e dispone la rimessione degli atti alla Corte costituzionale
per la relativa decisione.